Dicono di noi...
Una testimonianza
Scritto da Andrea Camilleri
Quando ho saputo che nel 2004 "Prima del Teatro" avrebbe compiuto venti anni d'attività sono rimasto incredulo o almeno estremamente perplesso. Vent'anni? Di già?
Ma se è stato appena tre giorni fa che a Bagni di Lucca ho parlato con Orazio Costa, Luca Ronconi e Massimo Castri? Se l'altro ieri ho lavorato a Montalcíno con Peter Clough e ho assistito alle lezioni estrose e impegnative di Nikolaj Karpov? Se proprio ieri a San Miniato mi sono incontrato con Michel Azama e José Sinisterra e Agustì Humet?
È vero che per molto stagioni ho collaborato con "Prima del Teatro", ma è altrettanto vero che sono trascorsi un bel po' di anni dalla mia ultima presenza.
Allora come si spiega questo vivido persistere in me di una esperienza che non riesce a diventare ricordo, memoria?
Mi sono trovato altre volte coinvolto in eventi che nei propositi, sulla carta, ho stimato avrebbero indelebilmente segnato il corso della mia esistenza, invece già poco dopo il segno di quegli eventi cominciava a impallidire, non perché lentamente affondava nel giro del mio sangue, ma semplicemente perché si stava cancellando dalla pelle. Di "Prima del Teatro" invece continuo a portare dentro di me non solo gli incontri con i maestri e gli allievi, le discussioni, le prove, le parole, ma persino gli odori e i colori, gli sguardi, i volti.
Nel domandarmi questo perché, credo di avere trovato la possibilità di organizzare una risposta nel racconto di un seminario da me diretto, non ricordo più in che anno, a Montalcino. Le mie lezioni, tenute nello splendido teatro civico, vertevano sulla messinscena di alcuni momenti dei "Sei personaggi in cerca d'autore" di Pirandello. Gli allievi attori, tutti molto giovani, erano inglesi, russi e italiani. Ognuno avrebbe interpretato le battute nella propria lingua (a "Prima del Teatro" ci sono sempre stati traduttori di alto livello). Naturalmente, prima di cominciare a provare, facemmo un lavoro di controllo collettivo sulle due traduzioni del testo, in modo che le traslazioni in russo o in inglese non avessero eccessivi scarti rispetto all'originale italiano. Fatto ciò, procedemmo alla prima lettura di una scena che io volli fosse immediatamente dopo commentata dagli allievi attori. E subito emersero le inevitabili diversità culturali dei tre gruppi. Non si trattava di superficiali diversità dovute ai criteri formativi delle scuole di provenienza (perché c'erano anche quelli, naturalmente), ma di tre differenti letture dello stesso testo che obbedivano alle rispettive, profonde ragioni culturali.
Come regista, o meglio come insegnante, mi venni a trovare davanti a un dilemma: imporre a tutti la mia unica lettura del testo o lasciar liberamente confluire, e tra loro intrecciarsi, le diverse letture? Scelsi la seconda strada, anche perché si trattava di un seminario di ricerca, di sperimentazione che non era finalizzato a un vero e proprio spettacolo. Allora mi proposi di non armonizzare, di non smussare i contrasti troppo aperti, ma, al contrario, di sottolineare le differenze, a lungo discutendo con gli allievi attori per avere la continua conferma della validità delle loro opinioni, della saldezza dei loro motivi culturali.
Se per caso a petto delle contestazioni mie o degli altri partecipanti le convinzioni di un allievo cominciavano a vacillare per scarso allenamento dialettico, io mi affrettavo a dargli man forte, a sostenerlo perché la sua "voce" alla fine risultasse autentica, fosse matura e piena come le altre perché corroborata da profonde, radicate motivazioni.
Nel corso della mia attività professionale m'è capitato a Budapest, ad Ankara, a Lisbona, di lavorare con compagnie di quelle capitali. E ogni volta si è trattato di mettere in atto il primo corno del dilemma al quale ho accennato: imporre, non senza incontrare resistenze, la mia personale lettura del testo. Certe volte ci sono riuscito completamente, altre volte solo in parte. Ma, facendo un bilancio consuntivo, non posso in coscienza affermare che quelle esperienze solo ed esclusivamente teatrali mi abbiano culturalmente accresciuto: hanno soddisfatto certe mie curiosità, hanno risposto a certe domande, e nulla di più. Lo confesso: ho imparato assai di più andando in giro per quelle splendide e così diverse città, incontrando persone che attori non erano.
Ma quel seminario a Montalcino è stato qualcosa di non limitato a una semplice (o complessa, se si vuole) esercitazione teatrale. È stata la messa in campo totale di noi stessi, soprattutto quando invitai gli allievi, sulla falsariga dell'apparizione di madama Pace, a evocare personaggi della loro segreta fantasia, replicando, secondo le parole del Padre, "il prodigio di una realtà che nasce, evocata, attratta, formata dalla stessa scenda".
Ripeto: erano tutti allievi i quali, come attori, si trovavano ancora ad uno stato d'infanzia, un'infanzia consapevole d'esserlo. Il fatto è che anche io, quando, cedendo alle insistenze degli allievi, evocai una mia personale madama Pace, feci venire fuori una mia maestra delle elementari; dinanzi alla quale, vertiginosamente, gli anni si misero a scorrere all'indietro, fino ad arrestarsi al tempo dei pantaloni corti e della cartella sulle spalle.
Fu allora che mi resi conto che la loro crescita come attori consentiva anche a me una particolare crescita, consistente nel recupero di una felicità d'apprendimento e d'invenzione della quale avevo goduto solamente in età molto giovanile.
E così ho capito cosa avviene ogni anno, nei mesi estivi, durante i seminari di "Prima dei teatro" : lì si crea un'isola d'intensa stagione dove ogni miracolo umano è possibile, lì si forma un'isola "dagli orli staccati".
Ricordate le parole.del mago Cotrone nei "Giganti della Montagna"?
Siamo qua come agli orli della vita... Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l'invisibile: vaporano i fantasmi. È cosa naturale. Avviene, ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia Ecco tutto, i sogni, la musica, la preghiera, l'amore...
Lì, il tempo si ferma e così il passato viene ad avere la stessa medesima consistenza del presente. Perciò quelle stagioni non possono essere trasferite nell'archivio della memoria: perché ancora ci sono e il "suono" di esse costantemente m'accompagna.
Pronti ad andare in scena
Scritto da Antonio Castagna
dal settimanale "Diario"
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By ricdatalab.net